Le aziende non ammesse ai finanziamenti possono riproporre la candidatura all’EIC-Accelerator?
Sì, tant’è che abbiamo nuovamente consigliato Bluetentacles e Mirnagreen ed altre aziende. Entrambe le imprese hanno perfezionato i propri progetti. Dal 2021 comunque sarà possibile candidarsi solamente due volte, una decisione che condivido: un’azienda che non riesce neanche a conquistare il “Seal of Excellence” non avrebbe alcuna chance all’interno dell’Accelerator.
Come fate al NOI Techpark a stabilire quale start-up ha prospettive di successo e quale invece non ha chance?
Noi siamo costantemente in contatto con i nostri colleghi dello Start-up Incubator e questo ci permette di capire a quale programma UE destinare ogni start-up: non esiste infatti solo l’EIC-Accelerator. Successivamente organizziamo un assessment con le singole start-up, talvolta articolato su più incontri. Questo ci permette di adeguare i progetti ai criteri richiesti, in modo da stabilire se un’idea può reggere il confronto con altri progetti concorrenti. Ovviamente non possiamo garantire alle start-up che ce la faranno, però possiamo prepararle a soddisfare al meglio i requisiti richiesti. Questo significa anche che noi diciamo in maniera chiara alle nostre giovani aziende se hanno chance di riuscita o meno.
“Non possiamo garantire alle start-up che ce la faranno, però possiamo prepararle a soddisfare al meglio i requisiti richiesti. Questo significa anche che noi diciamo in maniera chiara alle nostre giovani aziende se hanno chance di riuscita o meno”
Quali sono le prerogative che deve assolutamente possedere una start-up che si sta preparando all’interno del NOI Techpark?
Per noi contano principalmente tre aspetti. Il primo: il grado di maturità della tecnologia su cui si fonda la start-up. Di norma si parla di tecnologia disruptive, ma questo non significa che debba essere assolutamente nuova, qualcosa che non c’era prima. Deve invece esserci un modello di business che spieghi chiaramente perché questa tecnologia porterà nuovi benefici e in quanto tempo essi saranno visibili. Per entrare nell’EIC-Accelerator un progetto deve avere il grado di maturità TRL 6, che prevede l’esistenza di un prototipo già funzionante e pronto per essere lanciato sul mercato nel giro di 24 mesi. Da questo punto di vista riscontriamo poche problematiche, la maggior parte delle start-up ha un ottimo livello tecnologico. Il secondo aspetto riguarda la commercializzazione: qui invece per tradizione siamo alquanto carenti, per cui aiutiamo le start-up dell’incubatore tramite degli appositi coaching. E alla fin eil terzo aspetto: come scrivo una domanda di finanziamento in modo che un’azienda possa vincere? Ed è proprio questo il compito del mio staff. In questo caso noi fungiamo da periti e lavoriamo assieme ad esperti esterni, che a loro volta sono periti. Per ottenere un finanziamento UE è necessario fare tutto seriamente e soprattutto essere pronti ad affrontare la concorrenza, tutte cose che noi diciamo chiaramente alle start-up.
Oggi come oggi, quante tra le start-up con cui siete in contatto sono in grado di qualificarsi per la Champions League, ovvero l’EIC-Accelerator?
A mio avviso in questo momento ce ne sono quattro, con le quali abbiamo già avuto diversi colloqui di approfondimento. Però sono fiducioso di poter portare altre quattro o cinque start-up a un livello tale da potersi candidare l’anno prossimo
Nove in tutto, quindi. Sembra una bella cifra, almeno rispetto allo studio elaborato nel 2019 dalla Goethe-Universität di Francoforte, secondo il quale appena il 4% delle start-up che sopravvivono riescono a diventare scale-up...
Io non mi lascerei scoraggiare da queste cifre. Nei colloqui con le start-up dico sempre che i veri concorrenti non sono quelli che non ce la fanno, bensì quelli che ottengono da 13 punti in su. Quindi non parliamo delle 2.000 start-up che si candidano ma delle poche centinaia veramente forti che vengono ammesse all’ultima selezione. Tra queste finaliste, quasi la metà ottiene il finanziamento. Una su due ce la fa, insomma: non male come risultato, direi.
“Tra queste finaliste, quasi la metà ottiene il finanziamento. Una su due ce la fa, insomma: non male come risultato, direi”
Cos’hanno in comune queste aspiranti scale-up? Cosa le rende così interessanti?
La Commissione Europea prende in considerazione tre aspetti, di cui teniamo conto anche noi. Il primo come detto è la tecnologia. Il secondo è il team della start-up: la giuria tiene sempre più conto della presenza di tutte le competenze indispensabili per mantenere le promesse contenute nel business plan. Ho avuto modo di notare che viene data preferenza a start-up i cui capi vantano esperienze in campo industriale, perché ritenuti più affidabili. O, meglio ancora, se hanno già fondato delle start-up e sono riuscite a venderle. In ogni caso vengono privilegiati i gruppi con competenze differenziate rispetto a team formati solo da esperti in tecnologia o ricercatori, per i quali le chance di farcela sono ridotte al lumicino. Il terzo criterio è naturalmente il business plan. A questi tre aspetti se ne aggiungono alcuni che possono far lievitare il punteggio: la start-up ha già avuto colloqui con investitori, ha ricevuto piccoli finanziamenti, magari un premio o una dichiarazione d’intenti da parte di potenziali clienti?
Cosa succede se un’azienda non riesce a entrare nel novero dei campioni? Deve dire addio al sogno europeo?
Assolutamente no, ci sono parecchie start-up che crescono lentamente e l’Europa offre tanti programmi per ogni stadio della vita di un’azienda. Per questo dico sempre alle start-up che si tratta innanzitutto di trovare il concorso giusto per loro. Che magari non prevede premi in denaro, però offre servizi gratuiti, cooperazioni o accesso a modalità equity. Nei prossimi sette anni ad approfittarne saranno soprattutto le start-up dei settori green e digitale, per le quali sono previste particolari sovvenzioni.
“Nei prossimi sette anni ad approfittarne saranno soprattutto le start-up dei settori green e digitale, per le quali sono previste particolari sovvenzioni”
Circolano molti pregiudizi nei confronti dell’UE: troppo complicata, poco trasparente, eccesso di burocrazia. Diverse aziende preferiscono quindi attingere a fonti più sicure come la legge provinciale n. 14 del 2006. I soldi che arrivano sono di meno, ma almeno sono sicuri...
Mettiamola così: in Alto Adige abbiamo la fortuna di avere questi aiuti allo sviluppo che altre regioni ci invidiano. Bisogna però dire che chi si accontenta di 100.000 euro è destinato a rimanere una piccola realtà. La legge provinciale mette dei paletti, i fondi non sono infiniti e non sappiamo quanto andranno avanti. Chi invece punta all’Europa vuole arrivare in alto, e per conquistare un contributo di 2,5 milioni di euro bisogna affrontare una concorrenza agguerrita. Questo significa lavorare tanto ma anche avere come prospettiva qualcosa di grande. Noi siamo partner dell’Europa, e allora utilizziamolo, questo denaro! Io e il mio team siamo qui proprio per questo: per aiutare i giovani imprenditori a orientarsi in questa giungla. Tra l’altro - detto tra noi - spesso è più semplice farsi pagare direttamente dalla UE che superare gli ostacoli burocratici italiani… Quello che comunque non si deve mai pensare è che bastino un paio di giorni per compilare una domanda.
Sono previsti fondi europei specifici per start-up guidate da donne?
Esistono fondi comunitari per donne che fanno impresa, ma si tratta per lo più di premi. Proprio adesso la commissaria UE Ursula von der Leyen ha ottenuto che dal 2021 nell’EIC-Accelerator si dia la preferenza, a parità di prestazioni ovviamente, alle start-up a conduzione femminile. D’ora in poi almeno il 35% dei progetti sovvenzionati deve fare capo a un’imprenditrice.
Cosa succede se una start-up riceve la massima sovvenzione UE possibile e non ce la fa a sfondare?
Mi faccia pensare... Beh, si tratta di finanziamenti pubblici a fondo perduto, e si sa quanto sia rischioso investire in una start-up. Anzi è proprio per questo che esistono queste agevolazioni all’innovazione.