
Intervista all’architetto ingegnere Carlo Ratti. Come cambiano i luoghi del lavoro: «La flessibilità resterà con noi, le case diventeranno a misura di Zoom ma l’ufficio non morirà mai»
Dalla condivisione al distanziamento sociale, dagli open space al ritorno delle postazioni singole fino alla «scoperta» dello smart working. E ancora dall’economia circolare all’uso massiccio della plastica e dei dispositivi usa e getta. In pochi mesi la pandemia ha cambiato le abitudini di ognuno di noi, le nostre necessità e perfino la definizione del perimetro fra sicurezza e pericolo. Una rivoluzione ancora in atto che sta avendo impatto in primo luogo sul mondo del lavoro. Nonostante in Italia la legge sullo smart working esista dal 2017 infatti, solo il 31% dei lavoratori dipendenti ne usufruiva prima del Covid, e non su base quotidiana, secondo la ricerca pubblicata a giugno «Lo smart working in Italia, tra gestione dell’emergenza e scenari futuri» condotta da Anra, Associazione Nazionale dei Risk Manager e Aon, Servizi per la Gestione del Rischio. Tanto che, un altro studio condotto ad aprile da Check Point Software Technologies, fornitore di soluzioni di cybersecurity a livello internazionale, insieme con Dimensional Research, ha evidenziato come le aziende nostrane fossero impreparate, sottolineando come il 95% abbia avuto problemi legati alla sicurezza dei dati. D’altro canto, sempre secondo l’analisi di Anra, attualmente i lavoratori che continuano l’attività soltanto da remoto sfiorano l’80%. Il quadro dunque si è completamente ribaltato. Che impatto avrà tutto questo sugli ambienti di lavoro nell’era post Covid? Lo abbiamo chiesto a Carlo Ratti - l’architetto ingegnere fondatore dello studio torinese Carlo Ratti Associati e direttore del MIT Senseable City Lab di Boston. «Negli ultimi mesi abbiamo vissuto una rapida transizione verso lo smart working, scoprendo un modo di lavorare più flessibile. Si tratta di dinamiche che erano già in atto, ma che hanno subito un’accelerazione».
Ha fatto scalpore nel maggio scorso la dichiarazione del ceo di Twitter Jack Darsey di voler consentire a tutti i lavoratori che stanno lavorando «da casa» e che ne faranno richiesta di continuare a farlo anche in futuro. Il lavoro agile sarà davvero la nuova normalità?
«Credo che la flessibilità lavorativa che abbiamo assaporato in queste settimane resterà con noi. Mi piace quindi immaginare un lavoro più flessibile – a volte installati in un ufficio vero e proprio, ma altre volte sul tavolo di cucina, in un caffè, nella casa in campagna o in quell’Airbnb di Barcellona in cui una volta passavamo soltanto il weekend e oggi ci possiamo fermare per tutta la settimana. Anche il turismo potrebbe diventare più lento e sostenibile».
E come andranno ripensati gli ambienti domestici, quelli urbani e quelli aziendali? Sarà necessaria una dilatazione degli spazi e un potenziamento tecnologico per una socialità virtuale?
«Ci saranno grandi opportunità per gli architetti che dovranno progettare tutti questi spazi affinché possano adattarsi a molteplici usi. Le postazioni domestiche per esempio andranno sicuramente ripensate per evitare che quadrupedi o bipedi mezzi nudi si possano intrufolare nella diretta zoom con i nostri colleghi».
Per alcuni il lavoro agile è una benedizione, altri invece patiscono l’isolamento sociale a cui può portare. Dovremo dire addio a uffici e coworking?
«Sono temi su cui ci stiamo interrogando tutti ma non credo che l’ufficio smetterà di esistere: la parte più stimolante del nostro lavoro è il confronto con le idee degli altri, che avviene spesso in modo informale. Per questo non bastano Skype o Zoom, piattaforme per conversazioni codificate: serve un luogo fisico. Il coworking potrebbe soffrire nel periodo intermedio di convivenza con virus, ma credo che nel lungo termine possegga molti atout in un contesto di maggior flessibilità lavorativa».

Pensa che centri di ricerca scientifica e tecnologica multifunzionali finora in grado di attrarre imprese e start-up, ma anche di offrire servizi alle imprese, come laboratori di ricerca e personale qualificato, spazi congressi e postazioni di coworking, incubatori di idee possano continuare a rappresentare un’attrattiva?
«Credo di sì. Se guardiamo agli ultimi 10mila anni di storia urbana vediamo che quella forza di attrazione che ci porta a vivere o lavorare gli uni vicino agli altri è più forte di qualsiasi pandemia, anche perché per il buon andamento di un’azienda anche le conoscenze casuali sono importanti (quelle che si fanno al bar, in treno, in metropolitana, ndr) perché ci permettono di uscire dai nostri preconcetti, mettendoci in contatto con nuove idee e prospettive e fungendo anche da spinta verso l’innovazione. Quindi non penso proprio che ci sarà un abbandono totale dell’ufficio».
Come conciliare la sicurezza con la condivisone del sapere?
«Dobbiamo distinguere il breve dal lungo termine. Nei prossimi mesi, fino a quando non avremo trovato un vaccino o raggiunto l’immunità di gregge, dovremo fare attenzione, mantenendo il distanziamento sociale. Ma nel lungo periodo potremo tornare a interagire in modo normale gli uni con gli altri: credo che fra qualche anno il Covid-19 non ci spaventerà più di quanto faccia la peste bubbonica di cui leggiamo ne “I Promessi Sposi”».
In molti hanno messo in relazione la questione ambientale con l’esplodere della pandemia. Un’ulteriore spinta verso l’abbandono dell’usa e getta che lascerà il passo all’economia circolare e al riuso al di là dell’attuale, inevitabile, impennata di dispositivi inquinanti come guanti e mascherine?
«Spero proprio di sì, nel lungo periodo si tratta della nostra unica salvezza. Speriamo che anche in questo caso il Covid faccia da acceleratore. Come progettista mi sta particolarmente a cuore il tema della circolarità, far sì che quello che progettiamo non finisca in discarica ma venga invece riutilizzato in vari modi. In questo senso l’anno scorso, insieme a Eni, abbiamo progettato il Circular Garden al Salone del Mobile di Milano (una struttura organica creata con i funghi, ndr), mentre in questi mesi, insieme a Italo Rota, stiamo lavorando al Padiglione Italia a Expo Dubai (sovrastato da tre barche rovesciate che potranno essere riutilizzate, ndr)».
Lo Studio Carlo Ratti Associati con l’azienda Scribit ha da poco presentato Pura Case, purificatore per guardaroba portatile a base di ozono: il bisogno di igiene, sicurezza, la necessità del distanziamento hanno dato nuovo impulso a design e tecnologia. Sarà la nuova normalità anche in futuro? Queste abitudini si sedimenteranno?
«Credo che le nostre abitudini stiano già cambiando. Gli acquisti online sono aumentati del 60% negli ultimi mesi e allo stesso tempo un quarto delle persone ora compra da negozi di quartiere. Andremo incontro a nuovi stili di vita a partire da quanto abbiamo sperimentato in questi ultimi mesi – non solo per quanto riguarda lo smart working».